Sofia Coppola e l'eterno racconto delle adolescenti in gabbia come Priscilla Presley (e lei) (2024)

Quando Eleanor Coppola entrò in travaglio per il suo terzo figlio in un ospedale di Manhattan, il 14 maggio 1971, suo marito, il regista Francis Ford Coppola, era a Harlem a girare una scena del Padrino. Raggiunto dalla notizia, prese una videocamera dal set e si precipitò a catturare il momento. «Quando gli dissero che era una femmina, sobbalzò e lasciò quasi cadere la camera», mi ha raccontato di recente Sofia Coppola, a proposito del video della sua nascita. «Mia madre invece è lì, che cerca solo di concentrarsi». Il filmato, che è stato proiettato dalla famiglia più volte nel corso degli anni, oltre a essere stato inserito in un'installazione artistica femminista progettata da Eleanor, è stato il primo dei molti casi in cui Sofia sarebbe stata vista attraverso l'obiettivo del padre. Quando aveva solo pochi mesi, Francis la scelse per il suo primo ruolo cinematografico ufficiale, quello della bambina nell'epilogo del Padrino, in cui Michael Corleone, il boss in ascesa della famiglia criminale, unge il capo della nipote appena nata mentre i suoi soci eliminano a uno a uno i gangster rivali.

La figlia di Francis

La storia di Hollywood è piena di stirpi illustri – i Selznick e i Mayer, i Warner e gli Huston, i Bergman-Rossellini e i Fonda – ma sono poche quelle, come i Coppola, in cui un regista famoso ne ha generato un altro. Dopo una prima infanzia trascorsa davanti alla macchina da presa, Sofia Coppola si è costruita una carriera passandole dietro, affermandosi come una delle cineaste più influenti e originali della sua generazione, con all’attivo otto film. Il secondo, Lost in Translation, del 2003, le è valso un Oscar per la migliore sceneggiatura originale e una nomination come miglior regista, facendo di lei la prima donna statunitense riconosciuta in quella categoria. Nel suo cammino, ovviamente, è stata sostenuta da una straordinaria ricchezza di risorse. I suoi film sono stati tutti prodotti da American Zoetrope, la compagnia cinematografica di Francis. Quando nel 1999 ha esordito alla regia con Il giardino delle vergini suicide, ha potuto ingaggiare Kathleen Turner, una star affermata al fianco della quale aveva recitato, ancora adolescente, nel film paterno Peggy Sue si è sposata. Ha ottenuto il permesso di girare il suo quarto film, Somewhere, all'interno del lussuoso Chateau Marmont – hotel di Hollywood –, perché in gioventù era una frequentatrice abituale del posto e aveva persino una chiave privata per la piscina. Resta il fatto che nessun regista può ottenere il via libera a un progetto con uno schiocco di dita, specie nella Hollywood di oggi, satura di franchise, tantomeno se la regista è donna, considerato che il settore rimane dominato dagli uomini. Coppola sa bene che sarebbe fuori luogo lamentarsi in una posizione come la sua, tuttavia tiene a specificare: «In questo ambiente non è facile per nessuno, anche se potrebbe sembrare che per me lo sia».

Sofia e Francis Ford Coppola nel 1990.

New York Daily News Archive/Getty Images

Quando ci siamo incontrate per la prima volta, nell'autunno del 2021, a colazione vicino a casa sua nel West Village, Sofia aveva trascorso i due anni precedenti a lavorare a quella che al momento era la sua impresa più ambiziosa, una miniserie per Apple TV+ basata sul romanzo di Edith Wharton L’usanza del paese, del 1913. Aveva adattato il libro in cinque episodi e aveva scelto Florence Pugh per il ruolo principale di Undine Spragg, un'arrivista del Midwest che cerca in tutti i modi d’infiltrarsi nella Manhattan della Gilded Age. Coppola, come Wharton, è conosciuta per i suoi ritratti penetranti di un ambiente elitario e per il tocco con cui propone personaggi femminili che godono di enormi privilegi ma poca autonomia. Maria Antonietta, il suo film più costoso, aveva un budget di quaranta milioni di dollari, ancora modesto per gli standard di Hollywood; per L’usanza aveva previsto, come lei stessa ha dichiarato, «cinque Maria Antonietta».

A colazione, però, mi confessa: «Apple si è appena sfilata. Ci hanno ritirato i finanziamenti». La sua voce è calma e il suo viso – zigomi alti, naso romano – rilassato. «È una vera scocciatura», prosegue. «Pensavo che avessero risorse infinite». Durante lo sviluppo del progetto, si era incontrata più volte con i dirigenti («per lo più ragazzi») pianificando tutto, dal budget alla sceneggiatura. «Non hanno capito il personaggio di Undine», si lamenta. «È “antipatica”, ma come lo è Tony Soprano». E aggiunge: «Era come una di quelle relazioni da cui sai che probabilmente avresti dovuto uscire prima». (Apple non ha risposto alla richiesta di commento).

Coppola è cresciuta guardando il padre combattere con gli studios. Il successo del Padrino non è stato sufficiente a garantirgli finanziamenti pari alle sue ambizioni, così spesso s’inventava di tutto per realizzare i suoi progetti in modo indipendente, spingendosi sull’orlo della bancarotta o dell’esaurimento nervoso. Hearts of Darkness, un documentario co-diretto da Eleanor sulla produzione notoriamente tormentata di Apocalypse Now, ha un sottotitolo, con una graziosa iperbole, A Filmmaker's Apocalypse (L’apocalisse di un cineasta). (A 84 anni, Francis sta finanziando di tasca propria un nuovo film, Megalopolis, con centoventi milioni di dollari raccolti vendendo una parte dell'azienda vinicola di famiglia). Coppola ha assorbito dal padre la regola secondo cui non vale mai la pena cedere alle richieste creative dei dirigenti degli studios. Nel 2014, ha accettato di realizzare una versione live-action della Sirenetta per gli Universal Studios, ma viste le problematiche insorte durante la lavorazione (all'epoca disse anche che un dirigente le aveva chiesto, polemicamente: «Che cosa dirà il trentacinquenne presente tra il pubblico?») ha preferito rinunciare al lavoro. «In realtà non voglio cento milioni di dollari per fare un film», mi dice, parlando di accordi con gli studios che prevedono clausole e vincoli. «Ho imparato che è meglio arrangiarsi da soli». Se si butta in un progetto è solo perché ha la certezza di potere scegliere il suo team creativo e di controllare il montaggio finale.

La storia di Priscilla

Nel gennaio del 2022, dopo la vana ricerca di finanziamenti alternativi per L’usanza, è passata a un nuovo progetto, un film indipendente adattato dalle memorie di Priscilla Presley del 1985, Priscilla. La relazione di quest’ultima con Elvis iniziò quando lei aveva solo quattordici anni. Come Maria Antonietta, si ritrovò infelicemente sposata con un re. Sfogliando il libro mentre era bloccata a letto dal Covid, Coppola ha iniziato a immaginare la sua trasformazione in racconto cinematografico. «Ho pensato a lei seduta tutto il giorno su quel tappeto peloso», ricorda. Ha scritto rapidamente una bozza della sceneggiatura e ha detto al suo produttore di lunga data, Youree Henley, che voleva concludere le riprese entro la fine dell'anno. L’imminente uscita del film di Baz Luhrmann, Elvis, con un budget di ottantacinque milioni di dollari, non l’ha frenata in alcun modo. Il film di Luhrmann, una biografia frenetica e leccata, ritraeva Priscilla come un personaggio marginale e una felice compagna di vita. Coppola chiamò Priscilla e le disse: «Non è così che ti vedo io», e dopo averla ascoltata, quest’ultima accettò di produrle il film.

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Author: Pres. Carey Rath

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